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  • Il regime forfettario verrà abolito? Facciamo chiarezza

    Il regime forfettario verrà abolito? Facciamo chiarezza

    Se sei un content creator con partita IVA in regime forfettario, probabilmente avrai sentito voci e notizie secondo cui questo regime fiscale semplice e vantaggioso “sta per sparire” o “verrà abolito a breve”. Ma quanto c’è di vero in queste affermazioni? E quali sono invece le novità reali e confermate che riguardano il regime forfettario nel 2025?

    Perché si sente dire che il regime forfettario non ci sarà più?

    Spesso in giro si leggono articoli, commenti sui social o si sentono opinioni che parlano di una imminente abolizione del regime forfettario. Queste affermazioni si basano principalmente su:

    • Interpretazioni errate o incomplete di documenti tecnici (come rapporti OCSE o analisi di uffici tecnici interni allo Stato);

    • Discussioni politiche generali su riforme fiscali che ipotizzano modifiche o revisione dei regimi agevolati, ma senza proposte legislative formali;

    • Polemiche e opinioni di esperti o gruppi politici che discutono possibili scenari futurisenza che vi sia una decisione definitiva.

    In sintesi, queste notizie non provengono da fonti con competenza e autorità specifica per decretare la fine del regime. Non esistono infatti atti ufficiali, leggi o decreti che aboliscano o cancellino il regime forfettario.

    Le novità del 2025: più vantaggi, non meno

    Anzi, proprio nel 2025 il regime forfettario si arricchisce di importanti novità positive anche per i content creator, approvate con la Legge di Bilancio e altri provvedimenti ufficiali:

    • Eliminazione del limite di importo per le fatture semplificate: dal 2025 puoi emettere fatture semplificate anche sopra i 400 euro, semplificando ancora di più la gestione amministrativa.

    • Aumento del limite di redditi da lavoro dipendente o assimilato: il tetto passa da 30.000 a 35.000 euro, quindi chi ha redditi misti potrà continuare ad aderire senza problemi.

    • Sgravio contributivo più alto per i nuovi forfettari: chi apre partita IVA per la prima volta nel 2025 può usufruire di una riduzione del 50% dei contributi INPS per i primi 3 anni, un vantaggio concreto per chi inizia l’attività.

    Queste misure dimostrano che lo Stato, almeno per il momento, investe nel rafforzamento e nella semplificazione del regime.

    Chi decide davvero il futuro del regime forfettario?

    La politica italiana è l’unica reale decisore del destino del regime forfettario. Certamente, organismi internazionali come l’OCSE esprimono raccomandazioni e suggeriscono riforme, ma non possono imporre leggi. Le proposte di revisione o abolizione del regime sono di natura politica e parlamentare.

    In Parlamento e tra i partiti c’è una diversità di opinioni: alcuni vogliono mantenere e rafforzare il regime per sostenere i piccoli professionisti e le microimprese, altri ne chiedono una revisione per renderlo più progressivo o meno “distorsivo”. Ma per ora non ci sono proposte concrete di abolizione.

    Conclusioni per i content creator

    • Le notizie sulla fine imminente del regime forfettario sono spesso allarmistiche e prive di basi legislative concrete.

    • Le norme del 2025 introducono miglioramenti e nuovi vantaggi, non svantaggi.

    • La decisione sul futuro del regime spetta solo alla politica italiana, e qualsiasi cambiamento importante sarà comunicato ufficialmente con leggi e decreti.

    • Per ora, il regime forfettario resta uno degli strumenti più semplici e convenienti per chi lavora in proprio, come molti content creator.

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  • Buoni pasto per freelance, creator e partite IVA: ti fanno davvero risparmiare?

    Buoni pasto per freelance, creator e partite IVA: ti fanno davvero risparmiare?

    Se sei un content creator, un freelance o hai una partita IVA individuale, magari ti sarà capitato di vedere pubblicità che dicono: “I buoni pasto sono sempre deducibili!”, “Risparmia sulle tasse con i ticket restaurant!”, “Deduzione al 100% anche per i professionisti!”.

    Sembra una soluzione perfetta: li usi per mangiare e ti scarichi tutto. Ma funziona davvero così? Spoiler: no, non sempre.

    Vediamo perché punto per punto e per chi sono davvero utili i buoni pasto.

    1. I buoni pasto: nati per le aziende

    In origine i buoni pasto servivano per sostituire le mense aziendali. Non tutte le aziende hanno la possibilità di allestire una mensa interna, quindi danno ai dipendenti i buoni pasto, validi in bar, ristoranti e supermercati convenzionati.

    Per i dipendenti, i vantaggi sono veri: l’azienda li deduce completamente, e chi li riceve non paga tasse né contributi, fino a 4 euro al giorno se sono cartacei, o 8 euro se elettronici.

    2. E i freelance? Qui viene il bello…

    Chi lavora in proprio (freelance, creator, consulente) non ha diritto alle stesse agevolazioni dei dipendenti.
    La normativa considera i buoni pasto un mezzo di pagamento, non un servizio. Quindi, se compri ticket restaurant per te stesso, la spesa segue le regole fiscali delle spese di vitto, cioè:

    • puoi dedurre il 75% del costo del pasto,
    • entro il limite del 2% dei compensi annui.

    Esempio: Se in un anno hai 30.000 euro di ricavi, puoi dedurre al massimo 600 euro di spese per pasti (2%). Se spendi 1.200 euro in buoni pasto, solo metà sarà deducibile, e solo se collegata all’attività (per esempio, pranzo fuori durante un lavoro in trasferta, o dopo una riunione con un cliente).

    Nessuna deduzione se i buoni li usi per mangiare a casa o durante una giornata normale davanti al PC.

    3. Imprenditori individuali: spese personali NO, ma attenzione alle spese di rappresentanza

    Un imprenditore individuale non può dedurre i buoni pasto usati per sé stesso, perché secondo l’art. 109, comma 5 del TUIR, le spese personali dell’imprenditore non sono mai deducibili, anche se effettuate “nell’ambito dell’attività”.

    Quindi: se pranzi da solo, non puoi dedurre né il buono pasto, né lo scontrino del ristorante.

    Tuttavia, esiste un’eccezione importante: le spese di rappresentanza.

    Se l’imprenditore pranza con un cliente, fornitore, partner o collaboratore in un contesto legato all’attività (es. trattativa, chiusura di un contratto, invito a un fornitore), allora la spesa è deducibile nei limiti previsti per le spese di rappresentanza, cioè:

    • deducibilità entro l’1% dei ricavi annui (art. 108, comma 2 del TUIR);
    • è necessaria documentazione precisa, con fattura intestata all’impresa o ricevuta con indicazione del motivo dell’incontro;
    • è utile annotare i nomi delle persone presenti e l’occasione del pranzo, per dimostrare l’inerenza.

    Esempio: se nel 2024 hai ricavi per 100.000 euro, puoi dedurre fino a 1.000 euro di spese di rappresentanza (compresi pranzi con clienti). Se acquisti buoni pasto per invitarli, quei buoni saranno deducibili entro questo limite.

    Nota bene: non è la forma (buono, carta, contanti) a determinare la deducibilità, ma lo scopo della spesa.

    4. Amministratori di società: tutto dipende dal contratto

    E se sei amministratore di una società (Srl, Srls, ecc.)?

    Dipende. Se sei inquadrato come lavoratore dipendente o “assimilato”, i buoni pasto possono essere esentasse entro i limiti di legge (4/8 euro al giorno) e dedotti dalla società.

    Se invece sei pagato con compenso da lavoro autonomo (tipico per amministratori), valgono le stesse regole dei freelance: deduzione parziale, entro il 2% dei compensi, e solo se il pranzo è inerente all’attività.

    5. Quindi, conviene comprare buoni pasto da freelance o creator?

    Dipende.

    • Se li usi in modo occasionale, per pranzi legati al lavoro (trasferte, incontri), puoi dedurli parzialmente.
    • Se li usi per mangiare ogni giorno a casa o sotto l’ufficio, la deduzione è limitata o nulla.
    • Non sono un “trucco fiscale” per risparmiare sulle tasse, come certe pubblicità lasciano intendere.

    Meglio considerarli come uno strumento pratico, non un vantaggio fiscale automatico.

    Buoni pasto: Sono davvero così convenienti?

    I buoni pasto non sono sempre deducibili per tutti.
    Funzionano alla grande per i dipendenti, meno per professionisti, imprenditori individuali e amministratori.
    Non è vietato usarli, ma bisogna sapere quando sono davvero deducibili e quando invece no.

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  • Onlyfans e tasse: guida per creator del settore adult

    Onlyfans e tasse: guida per creator del settore adult

    Il mondo del content creation su piattaforme come Onlyfans sta vivendo una crescita esponenziale.
    Sempre più persone decidono di intraprendere la carriera da creator indipendenti, proponendo contenuti esclusivi, spesso di natura sensuale o esplicitamente erotica, e monetizzando grazie agli abbonamenti mensili, mance (tips), richieste personalizzate e vendita di contenuti on demand.
    Ma con la crescita dei guadagni, arrivano anche gli obblighi fiscali. Uno dei temi più discussi e meno compresi è: serve aprire la Partita IVA per lavorare con OnlyFans? Come si dichiarano questi redditi? Qual è il regime fiscale più adatto per un creator adult?
    In questo articolo rispondiamo a tutte queste domande con un linguaggio chiaro e pratico, pensato per chi
    vuole lavorare in regola senza sorprese da parte del Fisco.

    Onlyfans: cos’è e come funzionano le tasse

    OnlyFans è una piattaforma che permette ai creator di:

    • Caricare contenuti esclusivi (foto, video, messaggi vocali);
    • Farsi seguire da utenti paganti tramite abbonamento mensile;
    • Ricevere mance o offerte per contenuti personalizzati;
    • Offrire servizi extra (chat private, live streaming, video a richiesta, ecc.).

    Dal punto di vista fiscale, si tratta di una prestazione continuativa a pagamento che rientra nell’attività di lavoro autonomo: quindi, i guadagni devono essere dichiarati, e se l’attività è abituale, scatta l’obbligo di Partita IVA.

    Serve la Partita IVA per lavorare su Onlyfans?

    La risposta è: sì, nella stragrande maggioranza dei casi.
    Vediamo i due scenari possibili:

    1. Attività occasionale

    Se pubblichi contenuti in modo saltuario, non sei attivo regolarmente, e i tuoi guadagni sono molto contenuti (es. qualche centinaio di euro all’anno), potresti rientrare nel regime di “prestazione occasionale”.
    Ma attenzione: non deve essere un’attività abituale o organizzata (es. calendario editoriale, promozione su social, investimento in attrezzatura);
    Devi comunque emettere ricevuta con ritenuta d’acconto e dichiarare i redditi.
    Questo regime è molto limitato e difficilmente applicabile a chi prende Onlyfans sul serio.

    Guadagno meno di 5.000 quindi non devo aprire la partita iva…
    Il limite dei 5.000 euro è spesso citato riguardo all’obbligo di aprire la Partita IVA, ma questa è una percezione errata. In realtà, l’obbligo di aprire la Partita IVA dipende dall’abitualità e dalla continuità dell’attività svolta, non dall’ammontare dei guadagni. Anche con incassi inferiori a 5.000 euro, se l’attività è regolare e organizzata, è necessario aprire la Partita IVA. Al contrario, guadagni superiori a 5.000 euro da prestazioni occasionali non richiedono l’apertura della Partita IVA, ma solo l’iscrizione alla Gestione
    Separata INPS per i contributi previdenziali.

    2. Attività abituale

    Occorre aprire la Partita IVA se:

    • Produci contenuti regolarmente;
    • Promuovi il tuo profilo;
    • Guadagni in modo continuativo (mensilmente o quasi);
    • Interagisci con i follower;

    Allora la tua attività è abituale e quindi devi aprire la Partita IVA, anche se lavori da casa, da sola/o, e anche se non ti consideri “un’imprenditore/imprenditrice”.

    Quale codice ATECO usare per creator Onlyfans?

    Il codice più adatto potrebbe essere il 59.11.00 – Attività di produzione cinematografica, di video e di programmi televisivi Adatto per gli streamer, quindi per chi realizza video.
    Questo codice è generico, ma ben si presta ad attività creative online, comprese quelle svolte su piattaforme come OnlyFans, Patreon, Fansly, ecc. Viene utilizzato anche da performer, illustratori, youtuber e influencer.
    Ne esistono altri che riguardano attività che possono essere volte su onlyfans e se proprio non ne va bene una esiste il 96.09.09 – Altre attività di servizi per la persona nca, il più generico.

    Vantaggi:

    • Permette la gestione in regime forfettario;
    • Non prevede obbligo di iscrizione alla Camera di Commercio;
    • È compatibile con attività online di tipo creativo o di intrattenimento.

    Regime forfettario: perché è ideale per iniziare

    Chi apre la Partita IVA per la prima volta può accedere al regime forfettario, se rispetta alcune condizioni (fatturato inferiore a 85.000€/anno, nessuna partecipazione in società, residenza in Italia, ecc.).

    • Vantaggi del forfettario:
    • Tassazione agevolata al 15%, che può scendere al 5% per i primi 5 anni;
    • Nessuna IVA sulle fatture;
    • Nessuna ritenuta d’acconto;
    • Puoi scaricare 22% forfettario di spese (coefficiente di redditività per il codice ATECO 90.03.09).

    Come si gestisce fiscalmente un profilo Onlyfans?

    Ricezione dei pagamenti

    I pagamenti arrivano dalla società che gestisce OnlyFans (Fenix International Limited, con sede nel Regno Unito) che trattiene la sua commissione e versa sul tuo conto il tuo guadagno.

    In sostanza i rapporti sono:

    • il creator propone il proprio servizio on line;
    • l’utente sceglie il servizio e sottoscrive generalmente un abbonamento con il creator e paga anche con
      mance e donazioni;
    • l’utente paga Onlyfans che si fa carico della riscossione;
    • Onlyfans trattiene generalmente il 20% e versa al creator il compenso

    Emissione della fattura

    Questo è un tema delicato in quanto qualche tempo fa è intervenuta una importante sentenza della Corte di Giustizia UE che, dando ragione al fisco inglese (la società Fenix International Limited ha sede nel regno
    unito) ha confermato che Onlyfans deve assoggettare ad iva l’intero incasso dell’utente. Di fatto nei termini di utilizzo della piattaforma è scritto che

    “Ai soli fini dell’IVA del Regno Unito, i Creatori sono considerati come se fornissero i loro servizi a OnlyFans e non direttamente ai Fan”.

    Pertanto, ad oggi, il creator registrato a fini Iva in Italia fattura direttamente ai fans.
    Poiché i fans possono risiedere in Italia o all’estero la fatturazione può creare dei seri problemi.
    Nel primo caso si emetterà normale fattura con iva al 22% o si potrà optare per l’annotazione dei corrispettivi (i corrispettivi oltre a semplificare la procedura garantirebbero anche la privacy del Fan); nel secondo caso invece occorrerà prestare attenzione se l’utente è un soggetto iva o meno; se è soggetto la
    fattura non avrà iva in quanto si applica la territorialità è del paese del committente, se è un privato allora ci sarà l’iva al 22%

    Trasferimento dei fondi su conto personale

    Molti creator ricevono i soldi tramite PayPal, Paxum, o bonifico. Il metodo di incasso non modifica l’obbligo fiscale. Anche i fondi lasciati su PayPal vanno considerati reddito percepito e quindi tassati.

    Privacy, anonimato e aspetti sensibili

    Molti creator adult sono preoccupati per la privacy. Purtroppo, l’apertura della Partita IVA comporta la registrazione del proprio nome, codice fiscale e città di residenza.

    Possibili soluzioni:

    • Usare uno pseudonimo solo per il nome d’arte, mantenendo il nome vero per la fatturazione;
    • Aprire la Partita IVA come lavoro autonomp evitando l’iscrizione alla Camera di Commercio (con il codice ATECO 90.03.09);
    • Creare una società (più costosa, ma tutela meglio la separazione tra identità fiscale e attività pubblica).

    Cosa succede se non dichiari nulla?

    Se il Fisco scopre che stai guadagnando (anche migliaia di euro) su OnlyFans e non hai Partita IVA né dichiari nulla, puoi andare incontro a:

    • Accertamento fiscale e obbligo di pagare le imposte non versate;
    • Sanzioni amministrative fino al 240% delle imposte dovute;
    • Interesse di mora e rischio di iscrizione a ruolo (cartelle esattoriali);
    • In caso di cifre elevate, anche segnalazioni per evasione fiscale.

    Usare Paxum, PayPal o carte prepagate estere non rende i guadagni invisibili: il Fisco può ottenere le

    informazioni tramite scambio internazionale di dati bancari (CRS).

    Checklist per mettersi in regola

    • Apri la Partita IVA con il codice ATECO corretto;
    • Iscriviti alla Gestione Separata INPS (obbligatoria);
    • Attiva un indirizzo PEC e codice SDI per la fatturazione elettronica;
    • Emetti regolarmente le fatture o corrispettivi;
    • Conserva tutte le prove di incasso (estratti PayPal, bonifici, notifiche);
    • Fatti aiutare da un commercialista (meglio se esperto in creator digitali).


    Essere un creator su OnlyFans è un lavoro vero, e come ogni attività professionale comporta obblighi fiscali.

    Ignorarli può diventare molto rischioso, mentre lavorare in regola ti dà la libertà di crescere, promuoverti e investire nella tua attività senza paura.
    Il consiglio migliore? Apri la Partita IVA appena l’attività diventa stabile. Il regime forfettario ti aiuterà a iniziare in modo sostenibile, e potrai costruire un business serio e duraturo.

  • Guadagni su PayPal, Stripe o Ko-fi: il fisco li vede?

    Guadagni su PayPal, Stripe o Ko-fi: il fisco li vede?

    Nel mondo del lavoro digitale, piattaforme come PayPal, Stripe e Ko-fi sono diventate strumenti indispensabili per ricevere pagamenti da clienti, fan o collaborazioni internazionali.

    Ma sebbene questi strumenti siano agili e immediati, spesso si diffonde una convinzione pericolosa: “se il denaro non passa da un conto bancario italiano, il Fisco non se ne accorge”.

    La realtà è ben diversa. In questo articolo facciamo chiarezza su cosa sa davvero l’Agenzia delle Entrate, come vengono monitorati i conti PayPal & Co., e quali sono gli obblighi fiscali da rispettare per non incorrere in sanzioni.

    Il mito dell’invisibilità: da dove nasce?

    Molti pensano che i guadagni ricevuti su PayPal o Stripe non siano tracciabili, soprattutto se il denaro non viene trasferito subito su un conto bancario tradizionale. Questo mito deriva da due convinzioni errate:

    1. Non si tratta di un vero conto bancario, quindi non è soggetto a controlli;
    2. I pagamenti da piccole donazioni o microservizi (es. su Ko-fi o BuyMeACoffee) non sono “lavoro vero”.

    Falso. Le autorità fiscali possono monitorare anche i conti digitali, e qualsiasi somma ricevuta in cambio di un servizio è reddito a tutti gli effetti.

    Il Fisco li vede? Sì. Ecco perché.

    1. PayPal e Stripe sono sottoposti alla normativa antiriciclaggio (AML)

    In Europa, PayPal e Stripe sono istituzioni finanziarie regolamentate. Sono quindi obbligate a:

    • Identificare l’utente (KYC – Know Your Customer);
    • Conservare i dati delle transazioni;
    • Segnalare operazioni sospette;
    • Collaborare con le autorità fiscali dei Paesi membri.

    2. Common Reporting Standard (CRS)

    Il CRS è un sistema di scambio automatico di informazioni bancarie tra Stati aderenti (inclusa l’Italia). Le piattaforme finanziarie con sede in Paesi aderenti sono tenute a comunicare i dati dei titolari di conti o wallet alle autorità fiscali del loro Paese, che poi li trasmettono all’Agenzia delle Entrate.

    Anche se PayPal ha sede in Lussemburgo, Stripe in Irlanda e Ko-fi nel Regno Unito, tutti questi Paesi partecipano allo scambio automatico di informazioni.

    Quali guadagni sono visibili e come vanno dichiarati?

    Freelance e Partita IVA:

    • Ogni pagamento ricevuto tramite PayPal, Stripe, Ko-fi o simili è considerato un compenso per un’attività;
    • Deve essere fatturato, anche se arriva come “donazione”;
    • Va registrato nella contabilità e dichiarato nei redditi professionali.

    Privati senza partita IVA:

    • Se le somme ricevute sono sporadiche e non organizzate in forma di impresa o professione, si possono considerare redditi diversi (art. 67 del TUIR);
    • Tuttavia, se l’attività è abituale, continuativa o con finalità di lucro, sei fiscalmente tenuto ad aprire una posizione IVA.

    Anche una “donazione” su Ko-fi è un reddito se viene fatta in cambio di un contenuto, un’illustrazione, un servizio o altro valore.

    Trasferire il denaro sul conto cambia qualcosa?

    No. Il denaro è tracciabile già all’interno della piattaforma. Il Fisco può chiedere i movimenti direttamente a PayPal, Stripe o altri provider, senza bisogno che tu abbia trasferito quei fondi sul tuo conto corrente.

    Anzi, lasciare i soldi su PayPal per evitare controlli è una pratica pericolosa e inutile, perché:

    • Non elimina gli obblighi dichiarativi;
    • Può essere interpretata come occultamento volontario;
    • Espone al rischio di sanzioni gravi in caso di verifica fiscale.

    Cosa succede in caso di controllo fiscale

    L’Agenzia delle Entrate può:

    • Chiederti l’accesso agli estratti PayPal o Stripe degli ultimi 5 o 10 anni;
    • Richiedere spiegazioni su ogni entrata registrata;
    • Presumere che gli accrediti non dichiarati siano reddito in nero;
    • Applicare sanzioni fino al 240% delle imposte evase.

    Anche piccole cifre (es. 1.000-2.000 €) possono generare conseguenze se ricevute regolarmente e non dichiarate.

    Come mettersi in regola (o restarci)

    1. Dichiara tutto il reddito

    Anche se piccolo o ricevuto in dollari, anche se lo chiami “donazione”, tutto ciò che ricevi in cambio di un’attività ha rilevanza fiscale.

    2. Tieni traccia di ogni pagamento

    Scarica periodicamente gli estratti conto da PayPal, Stripe, ecc. per tenerli come documentazione contabile.

    3. Valuta se aprire la Partita IVA

    Se ricevi pagamenti ricorrenti, se offri servizi o contenuti in modo continuativo, è molto probabile che tu sia obbligato ad aprirla. Il regime forfettario in Italia offre buoni vantaggi per iniziare (aliquota al 5% o 15%).

    4. Evita conti “non dichiarati”

    Se hai conti PayPal o carte prepagate (come Revolut, Wise, ecc.) con saldo superiore a 5.000€, potresti essere obbligato a dichiararli nel quadro RW della dichiarazione dei redditi.

    Errori comuni da evitare

    • “Non lo dichiaro perché tanto sono piccole somme” → anche i microredditi vanno dichiarati.
    • “Non serve fattura se ricevo con Ko-fi” → falso, è reddito se hai dato qualcosa in cambio.
    • “Il conto è estero, quindi non tracciabile” → falso, il CRS ha eliminato il segreto bancario.
    • “Apro PayPal a nome di un amico/familiare” → questo può configurare interposizione fittizia, ed è perseguibile.

    Dichiarare guadagni PayPal: perché farlo

    Usare strumenti digitali per ricevere pagamenti è del tutto lecito e sempre più comune, ma ciò non esonera dagli obblighi fiscali. PayPal, Stripe, Ko-fi & Co. sono perfettamente tracciabili, e il Fisco italiano ha i mezzi — e l’interesse — per monitorarli.

    Il modo migliore per lavorare online, crescere e dormire sonni tranquilli? Essere trasparenti, dichiarare tutto e organizzarsi fin dall’inizio con una gestione professionale dei propri guadagni.

    @fiscobuddy

    💸 Per comodità il 90% dei creator si appoggia a conti online come Revolut, che funzionano molto bene ma devono essere usati nella maniera corretta. 🌎 I conti esteri vanno inseriti in dichiarazione, quadro RW, non solo per monitoraggio fiscale, ma perché se la loro giacenza media è superiore a 5.000€ è dovuta l’IVAFE, una tassa del 2 per 1000. 👉 Ci sono tante altre cose che devi sapere sui conti esteri sia per stare in regola col fisco, sia per risparmiare sulle tue tasse, se vuoi approfondire visita il nostro sito e prenota una consulenza grtuita. #fiscobuddy #commercialista #commercialistadigitale #partitaiva #lavorooccasionale #creator #revolut

    ♬ suono originale – FiscoBuddy
  • Doppia imposizione fiscale: cos’è e come evitarla

    Doppia imposizione fiscale: cos’è e come evitarla

    Nel mondo globalizzato e interconnesso di oggi, sempre più creator digitali decidono di trasferirsi all’estero per motivi di stile di vita, opportunità di crescita o vantaggi fiscali.

    Tuttavia, una delle questioni più complesse e spesso trascurate è la doppia imposizione fiscale, ovvero il rischio di dover pagare le tasse sullo stesso reddito in due Paesi diversi.

    In questo articolo, analizzeremo come funziona la tassazione internazionale per i creator digitali, quali sono gli strumenti legali per evitare la doppia imposizione e i migliori approcci per proteggere i propri guadagni senza cadere nell’illegalità.

    Cosa si intende fiscalmente per “creator digitale”?

    Con il termine creator digitale si fa riferimento a una vasta gamma di professionisti che operano online: Youtuber, streamer su Twitch, influencer su Instagram o TikTok, blogger, podcaster, ma anche freelance creativi come grafici, copywriter, sviluppatori e consulenti che lavorano in modalità remota.

    Tutti questi soggetti hanno in comune la possibilità di lavorare da qualsiasi parte del mondo e, per questo, il tema della residenza fiscale e della tassazione internazionale è particolarmente rilevante.

    Il rischio della doppia imposizione

    La doppia imposizione fiscale si verifica quando un individuo è considerato fiscalmente residente in due Paesi diversi o quando un Paese tassa i redditi prodotti all’estero senza tenere conto delle tasse già pagate nel Paese di origine. In pratica, significa pagare le tasse due volte sullo stesso reddito.

    Per esempio: un creator italiano che si trasferisce in Spagna ma continua a guadagnare tramite una partita IVA italiana o riceve pagamenti da aziende italiane, rischia che entrambi i Paesi rivendichino il diritto di tassare il suo reddito.

    In linea generale, possiamo affermare che per stabilire dove un cittadino è tenuto a pagare le imposte sui redditi percepiti occorre considerare il concetto di “residenza fiscale”.

    In base al cosiddetto “principio della tassazione mondiale” (World Wide Taxation Principle), sul quale si fonda il sistema fiscale di molti Paesi europei e che è stato adottato anche dalla legislazione fiscale italiana, il cittadino che lavora all’estero, mantenendo la residenza italiana, ha comunque l’obbligo di pagare le imposte in Italia anche sui redditi prodotti all’estero, salvo che sia diversamente indicato da disposizioni contenute nelle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni.

    Come funziona la residenza fiscale

    Ogni Paese ha i propri criteri per determinare la residenza fiscale. In Italia, un soggetto è considerato residente fiscalmente se:

    1. È iscritto all’anagrafe della popolazione residente per più di 183 giorni (circa 6 mesi) all’anno;
    2. Ha nel territorio italiano il domicilio, inteso come centro degli interessi vitali;
    3. Ha in Italia la residenza, cioè la dimora abituale.
    4. Si è trasferito in un paese a fiscalità privilegiata e non riesce a provarlo (vale la regola della dell’inversione della prova che è a carico del soggetto trasferito)

    Basta anche uno solo di questi criteri perché una persona venga considerata residente fiscale in Italia.

    Altri Paesi, come il Portogallo o Dubai, hanno regole diverse e talvolta più favorevoli. Tuttavia, il vero rischio per un creator digitale è essere considerato residente in due Paesi contemporaneamente: è qui che si genera la doppia imposizione.

    Le convenzioni contro la doppia imposizione

    Fortunatamente, per evitare questi problemi, molti Paesi hanno firmato Convenzioni contro la doppia imposizione (CDI), accordi bilaterali che stabiliscono quale dei due Stati ha il diritto di tassare determinati redditi. L’Italia ha stipulato trattati di questo tipo con oltre 100 Stati.

    In caso di conflitto di residenza, queste convenzioni stabiliscono una serie di criteri “a cascata” per determinare dove un individuo deve essere considerato residente ai fini fiscali. I principali sono:

    1. Dove la persona ha un’abitazione permanente;
    2. Dove ha il centro degli interessi vitali (famiglia, affari, relazioni personali);
    3. Dove soggiorna abitualmente;
    4. Nazionalità.

    Grazie a queste regole, è possibile stabilire con maggiore certezza in quale Paese si deve pagare l’imposta sul reddito.

    Strategie pratiche per evitare la doppia imposizione fiscale

    1. Trasferirsi in modo corretto

    Molti creator commettono l’errore di trasferirsi all’estero “a metà”: lasciano l’Italia fisicamente, ma mantengono legami economici e familiari che fanno presumere una residenza effettiva nel Belpaese. Il trasferimento deve invece essere effettivo e dimostrabile:

    • Iscrizione all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero);
    • Cancellazione dalla residenza in Italia;
    • Apertura di conti correnti esteri;
    • Contratto di affitto o acquisto di un immobile all’estero;
    • Spostamento del centro degli interessi personali e professionali.

    2. Ottimizzare la struttura legale

    Alcuni creator aprono società all’estero per gestire i propri introiti in modo più efficiente. Questa strategia è legittima, ma deve essere ben pianificata per evitare l’accusa di “esterovestizione”, ossia di avere una società estera fittizia che in realtà opera dall’Italia.

    Le autorità fiscali possono risalire facilmente a queste situazioni grazie alla collaborazione internazionale e al sistema CRS (Common Reporting Standard) che permette lo scambio automatico di informazioni bancarie.

    3. Usare correttamente le convenzioni

    Se ci si trova in una situazione potenzialmente a rischio, è possibile richiedere l’applicazione della convenzione contro la doppia imposizione tramite moduli specifici che attestano la residenza fiscale nel nuovo Paese. In alcuni casi è anche previsto il credito d’imposta, cioè la possibilità di detrarre le tasse pagate all’estero da quelle dovute in Italia.

    Le eventuali imposte pagate a titolo definitivo nei Paesi in cui i redditi sono stati percepiti si possono comunque detrarre da quelle italiane, sotto forma di credito d’imposta, nei limiti stabiliti dalle norme fiscali italiane.

    4. Affidarsi a un fiscalista internazionale

    Il supporto di un consulente esperto in fiscalità internazionale è fondamentale. Ogni situazione personale ha peculiarità che vanno analizzate caso per caso. Un fiscalista può:

    • Valutare la tua posizione attuale;
    • Consigliarti su dove trasferirti in base alla tua attività;
    • Aiutarti a redigere correttamente la documentazione;
    • Evitare errori che possono costare molto cari.
    @fiscobuddy 🌍 Con l’aumentare di chi opera come “nomade digitale” la questione doppia imposizione fiscale è più attuale che mai. 👉 Ti spieghiamo cos’è e cosa dovresti fare per ottimizzare i tuoi guadagni e risparmiare. 📲 Se vuoi saperne di più mandaci un DM. #fiscobuddy #doppiaimposizione #nomadidigitali ♬ suono originale – FiscoBuddy
  • Codice ATECO per content creator: quale scegliere e come funziona la tassazione

    Codice ATECO per content creator: quale scegliere e come funziona la tassazione

    Negli ultimi anni, il mondo dei content creator è cresciuto esponenzialmente, diventando una vera e propria professione, a tal punto che di recente è stato introdotto un codice ATECO specifico per chi pratica questa professione.
    Se guadagni attraverso YouTube, Twitch, TikTok, Instagram o blog, è fondamentale sapere come inquadrare fiscalmente la tua attività.

    Uno degli aspetti più importanti è la scelta del Codice ATECO, il codice che identifica il tipo di attività economica svolta e determina il regime fiscale applicabile. In questo articolo vedremo:

    • Se e quando è necessaria l’apertura della Partita IVA
    • Quale codice ATECO scegliere per un content creator;
    • Come funziona la tassazione e i contributi previdenziali.

    Se anche tu vuoi trasformare la tua passione per la creazione di contenuti in un’attività regolare, o se vuoi ottimizzare la tua posizione come content creator continua a leggere e salva questo articolo.

    Content creator: serve la Partita IVA?

    Bene, entriamo subito nel difficile, ma cerchiamo di semplificare in modo da comprendere il primo passo e il più importante.

    Un’attività può essere svolta abitualmente o no, qui sta la grande differenza differenza.
    Le prime domande che ti devi fare è: 

    1. Guadagno con regolarità da Social come YouTube, Twitch, Instagram, TikTok o piattaforme simili?
    2. Devo firmare contratti con aziende per sponsorizzazioni o collaborazioni?
    3. Guadagno più di 5.000€ l’anno?

    La risposta affermativa a queste tre semplici domande è sufficiente per farti capire che sei tenuto ad aprire la Partita IVA con relativo codice ATECO dedicato ai content creator.

    Se invece ti capita saltuariamente di guadagnare durante l’anno qualcosa dai tuoi contenuti e quel qualcosa è di modesto importo (leggi inferiore a 5.000€) allora non sei obbligato ad aprire la partita iva ma ricordati che comunque quei guadagni vanno dichiarati come redditi diversi e occorre rilasciare ricevute per prestazioni occasionali

    Degli eventuali contributi Inps dovuti ne parleremo alla fine dell’articolo.

    Cos’è il codice ATECO e perché è importante per un content creator?

    Il Codice ATECO è la classificazione adottata dall’ISTAT per identificare le diverse attività economiche. È utilizzato dall’Agenzia delle Entrate per definire il regime fiscale e dall’Inps per quello contributivo di un lavoratore autonomo o di un’impresa.

    Per un content creator, la scelta del codice ATECO corretto è essenziale per:

    • Evitare problemi con il fisco e sanzioni;
    • Poter scaricare le spese professionali in modo corretto;
    • Pagare le tasse giuste, senza sorprese;
    • Iscriversi correttamente all’Inps.

    Molti creator iniziano a monetizzare senza considerare l’aspetto fiscale e contributivo, rischiando di ricevere accertamenti per evasione involontaria. Ecco perché è importante scegliere il codice ATECO giusto fin da subito.

    Quale codice ATECO scegliere per un content Creator?

    Il codice ATECO più adatto per un content creator dipende dal tipo di attività svolta. 

    Con lo sviluppo di nuove tecnologie sono nate anche moltissime professioni digitali e di alcune ancora non risulta alcuna regolamentazione e quindi nessun codice particolare.

    Possiamo dire che finalmente, proprio da quest’anno è stato introdotto un codice apposito per i content creator e gli influencer ovvero il 73.11.03.

    Vi sono poi altre attività per così dire “vicine” a quelle dei creator, ma con una loro disciplina dedicata: quindi attenzione a non generalizzare e sbagliare codice.

    Partiamo quindi da questa importante novità e poi di seguito analizziamo le altre attività dell’universo digitale.

    1. Codice ATECO 73.11.03 – attività di influencer e content creator
    • Quando sceglierlo?
      Se sei un creator, influencer, YouTuber, streamer, podcaster, TikToker, blogger e vlogger, gamer e cyber atleta che pratica eSport e monetizzi attraverso sponsorizzazioni, collaborazioni e affiliazioni, questo è il tuo codice .
    • Tassazione e Regime Fiscale
      Puoi aderire al Regime Forfettario (se rientri nei limiti di fatturato di 85.000€ annui), con imposta sostitutiva al 5% (primi 5 anni) o al 15% negli anni successivi.

    Ora vediamo gli altri codici ATECO simili a quello del content creator, con le relative differenze.

    1. Codice ATECO 73.11.01 – Marketing digitale

    Quando sceglierlo?
    Se crei e realizzi campagne pubblicitarie o svolgi anche solo la consulenza per realizzarle

    • Tassazione e Regime Fiscale
      Puoi aderire al Regime Forfettario, con una tassazione agevolata. Se superi i limiti, sarai nel regime ordinario con IVA e tassazione progressiva.
    1. Codice ATECO 73.11.02 – Conduzione di campagne di marketing e social media management

    Quando sceglierlo?
    Se gestisci anche la strategia social di aziende o clienti, pagine social per aziende o personal brand, crei campagne pubblicitarie online o offri servizi di social media management

    • Tassazione e Regime Fiscale
      Puoi aderire al Regime Forfettario, con una tassazione agevolata. Se superi i limiti, sarai nel regime ordinario con IVA e tassazione progressiva.
    1. Codice ATECO 59.11.00 – Produzione cinematografica, video e programmi televisivi

    Quando sceglierlo?
    Se sei un YouTuber o videomaker professionista che produce contenuti video in modo continuativo, crei documentari, cortometraggi e contenuti audiovisivi o crei Editing video professionale per clienti

    Tassazione e Regime Fiscale
    Anche qui, il Regime Forfettario è un’ottima scelta per chi fattura meno di 85.000€.

    E infine come a nascondino esiste il codice liberatutti.

    1. Codice ATECO 74.90.99 – Altre attività professionali nca
    • Quando sceglierlo?
      Se non rientri nei codici sopra descritti questo è il codice che puoi usare. 
    • Tassazione e Regime Fiscale
      Puoi aderire al Regime Forfettario (se rientri nei limiti di fatturato di 85.000€ annui), con imposta sostitutiva al 5% (primi 5 anni) o al 15% negli anni successivi.

    Quanto paga di tasse un content creator?

    Le tasse per un content creator dipendono dal regime fiscale scelto:

    Regime Forfettario (se guadagni fino a 85.000€)

    • Imposta sostitutiva al 5% per i primi 5 anni, poi 15%
    • Nessuna IVA in fattura
    • Nessuna ritenuta d’acconto

    Regime Ordinario (se superi gli 85.000€ di fatturato)

    • Tassazione IRPEF progressiva (23%-43%)
    • IVA al 22% su ogni fattura
    • Maggiore complessità nella gestione contabile

    Contributi INPS; Gestione Separata al 26,23% sul reddito imponibile; Gestione commercianti al 24,48% (15,9% per i forfetari) con un importo fisso comunque dovuto di € 4.550 che scende a  € 2.957 per i forfetari

    Se il tuo obiettivo è crescere gradualmente, il regime forfettario è la scelta migliore per pagare meno tasse in modo legale.

    Quali spese può scaricare un content creator?

    Se hai la Partita IVA, puoi scaricare alcune spese per ridurre il reddito imponibile e pagare meno tasse. Ecco le principali:

    • Computer, fotocamere, microfoni, luci e attrezzatura tech.
    • Software di editing, licenze per programmi e strumenti digitali.
    • Abbonamenti a piattaforme (Canva, Adobe, ChatGPT, etc.).
    • Viaggi e trasferte per eventi e collaborazioni.
    • Servizi di consulenza, commercialisti e formazione.

    Le spese devono essere inerenti allattività, quindi niente vacanze spacciate per “business trip”.

    Aspetti previdenziali

    Con la circolare 44 del 19/02/2025 anche l’Inps è intervenuta per comunicare le proprie considerazioni sul tema Creator.

    In estrema sintesi l’Istituto ricorda che per l’attività di influencer e content creator si deve applicare il neo codice Ateco 73.11.03  e che:

    • Se l’attività è occasionale con reddito sotto i 5.000 euro NO iscrizione Inps e nessun contributo va pagato;
    • Se l’attività è occasionale con reddito pari o superiore a 5.000 euro SI iscrizione Inps e versamento contributi tramite ritenute sul compenso;
    • Se l’attività e abituale e quindi si deve aprire la partita iva si possono avere due casi:
      • Attività professionale (l’elemento personale prevale su quello organizzativo): GESTIONE SEPARATA
      • Attività d’impresa (prevalenza dei mezzi di produzione su quelli personali; esempio vendita di video o la gestione di banner pubblicitari): GESTIONE COMMERCIANTI

    Come scegliere il Codice ATECO giusto per un Content Creator?

    Scegliere il codice ATECO corretto per un content creator è fondamentale per essere in regola con il Fisco e pagare meno tasse legalmente.

    Se monetizzi con attività di youtuber, streamer, podcaster, instagrammer, tiktoker, blogger, vlogger, ecc.73.11.03

    Se fai campagne pubblicitarie e marketing  →  73.11.01
    Se fai anche social media management73.11.02
    Se produci contenuti video professionali59.11.00

    Se fai altro 74.90.99

    Se non sai ancora quale codice ATECO fa per te, consulta un esperto fiscale specializzato nei creator e freelance digitali, consulta FISCOBUDDY.

    Vuoi aiuto per aprire la Partita IVA? Scrivici per una prima consulenza gratuita, troveremo insieme il codice ATECO giusto per te e ti guideremo nel mondo del fisco per creator.

    @fiscobuddy

    Ok fatturare online, ma che sai che codice ATECO devi utilizzare? 👉 Questi sono quelli ideati appositamente per chi lavora nel mondo digitale, quindi se sei un creator e stai pensando di aprirti la partita IVA potrebbero fare al caso tuo. 👋 Vuoi capire qual è quello ideale? Visita il nostro sito e contattaci, ti aiuteremo nella scelta giusta per te. #fiscobuddy #creator #codiceateco #conmercialista #commercialistadigitale

    ♬ suono originale – FiscoBuddy